Nord America

Ellis Island nel 1905

Stati Uniti d’America

a cura di Paolo Calvano

L’emigrazione nella Confederazione inizia agli albori della storia della nuova nazione. Già dalla fine del sec. XVIII arrivano sparuti gruppi di italiani che possono essere classificati, in senso molto generale, come mercanti, artisti e artieri. Con la metà dell’800, a seguito delle insurrezioni fallite nei vari stati europei, si svolge un consistente esodo di rifugiati politici. Ancora nel 1880 gli immigrati sono solo 44.000. Da allora e fino al 1900 gli emigranti, quasi tutti contadini e in maggioranza del centro sud, salgono a circa 800.000. Col nuovo secolo è un esodo di proporzioni bibliche che, fino allo scoppio della grande guerra, fa presentare allo scalo di Ellis Island innumerevoli schiere di giovani italiani. Sono tre milioni e mezzo gli emigranti “temporanei” (perché la metà, nello stesso periodo, si rimbarcano per l’Italia) che arrivano in America; quasi tutti maschi, giovani e delle regioni meridionali, con significative eccezioni le minoranze di artigiani del centro-nord.
Questo flusso temporaneo ha delle caratteristiche precise: giovani e giovanissimi, senza donne e famiglia, poco acculturati, non specializzati come mestiere, riuniti in gruppi di paesani, e che si sta-biliscono in insediamenti già frequentati da italiani; costoro hanno in mente un solo pensiero: mettere da parte in qualche anno di privazioni risparmi per poi utilizzarli in patria; sono restii a imparare la lingua inglese (non conoscono bene neanche quella italiana) e a pensare alla naturalizzazione o ad una stabilità in USA. Questa grande massa lavorativa è considerata una manodopera di secondo ordine.

Emigranti Italiani ad Ellis Island primi anni 900

Cartolina della nave Garibaldi

Little Italy - Via Mulberry primi anni 900

Come bassa manovalanza vengono quindi adibiti nel campo dell’edilizia e delle costruzioni di fogne, gallerie, strade ferrate o come scaricatori nei porti. Oltre la metà viene impiegato in qualità di inserviente o di lavoratore comune. La duplice condizione di analfabeti e di lavoratori non specializzati, li rende vulnerabili allo sfruttamento, soprattutto nei confronti di altri italiani a cui si riferiscono e che fanno da mediatori per facilitare il loro inserimento nella società americana: trovando un lavoro ed un alloggio miserabile, risolvendo i piccoli problemi di vita quotidiana, conservando come una banca i risparmi o spedendoli ai familiari in Italia. Accade anche, per coloro che hanno diritto al voto, di vedersi lo stesso barattato con i politici locali con piccoli favori personali. Con la grande guerra e la conseguente scarsità di manodopera si determina un miglioramento della stabilità lavorativa ed un innalzamento del livello qualitativo dell’impiego. Molti italiani si riciclano come scaricatori nei porti e divengono minatori qualificati nelle cave di carbone. I più svegli aprono dei negozi artigiani, ristoranti,ingrossi di orto frutta e di alimenti (vino e olio), tentano la sorte come commercianti o imprenditori della  pesca.  Nel frattempo  comincia  a diffondersi, complice il giornalismo, l’immagine  stereotipata del mafioso e il binomio malavita organizzata /italiano. “Dagli anni ’80 dell’ottocento in poi, le Little Italy cominciarono a sorgere come funghi in tutta l’America. Come un mosaico di raggruppamenti in base ai villaggi e alle regioni di origine.”

A New York nel 1920 vivono 800.000 italiani, sparsi tra Manhattan, Brooklyn, Richmond e Queens; insediamenti notevoli si sviluppano anche a Boston e a Philadelphia (in quanto luoghi di approdo della traversata oceanica), a Chicago, a New Orleans e a S. Francisco. Le zone preferite rimangono gli stati del nord est e le cittadine localizzate lungo i percorsi delle linee ferroviarie o nei pressi delle industrie minerarie, per la possibilità di lavoro insita nelle loro posizioni geografiche.
Nelle Little Italy la vita dei singoli e della comunità è centrata su alcuni elementi fondanti: l’iscrizione e la frequentazione delle Società di Mutuo Soccorso, replicate dai paesi d’origine; il legame con la Chiesa Cattolica vissuto in una modalità particolare che contrasta con le abitudini dei cattolici americani e irlandesi: gli italiani considerano importanti le celebrazioni sacramentali, le processioni del Santo Patrono mentre sono soliti tralasciare l’obbligo della messa domenicale, il sostegno economico alla chiesa locale, l’obbedienza e la disciplina verso la gerarchia. Le difficoltà di ambientamento con i correligionari americani vengono superate lentamente tramite l’impegno della Congregazione degli Scalabriniani, delle suore di S. Francesca Cabrini (che svolgono quella che oggi si chiamerebbe pastorale del migrante) e con il tentativo di far arrivare preti italiani e di creare parrocchie nazionali.

Giornali Italiani pubblicati 1905-6

Non bisogna dimenticare che in molte comunità italiane e in alcune zone geografiche prevalgono idee laiche risorgimentali anticlericali e in questi ambiti i socialisti e gli anarchici trovavano i loro adepti più convinti e battaglieri.
Molto diffusa diviene la stampa in lingua italiana. I primi tentativi a New York, già nel 1880 con Carlo Barsotti che fonda “Il Progresso Italo-Americano”, rimasto in attività per oltre un secolo, e nel 1894 “L’Eco d’Italia” del mazziniano G.P. Secchi di Casali. Nel primo trentennio del ‘900 sono attivi una trentina di quotidiani e un migliaio di periodici “nazionali”, mentre nel 1919 la tiratura totale delle pubblicazioni è di 800.000 copie. Questi periodici svolgono una potente campagna “nazionalista” a sostegno della cultura italiana e oltre alle feste religiose e laiche esaltano la celebrazione del Columbus Day. Diffuse anche pubblicazioni sovversive legate ai gruppi anarchici, socialisti e rivoluzionari. I rapporti con il sindacalismo americano ufficiale sono burrascosi e gli italiani anche in questo campo spesso impersonano figure anomale in cui l’estremismo ed i rapporti non chiari con i padroni, i banchieri e la mafia sembrano rappresentare non sempre l’eccezione.

Con lo scoppio della grande guerra e il coinvolgimento degli USA il flusso migratorio viene considerevolmente diminuito (anche per l’imposi-zione di misure legislative restrittive) e nasce la figura dell’italo-americano, che viene arruolato co-me volontario nell’esercito americano e si ritrova a combattere dalla stessa parte dei padroni di casa. La guerra fa andare in crisi i gruppi radicali italiani, che dopo gli scioperi del 1919 vengono marginalizzati oppure passano nelle file dei nazionalisti e dei
fascisti. Con la vicenda di Fiume e l’affermarsi dell’idea della “vittoria mutilata” inizia un periodo di tensioni in terra statunitense in cui l’ondata xenofoba fa vedere in Mussolini il salvatore e il difensore dei valori italiani minacciati. Difatti, in quel periodo, “Il Progresso Italo-Americano”, sotto la direzione del proprietario Generoso Pope, esponente del Partito Democratico, porta avanti una linea filofascista. Tra le due guerre sono circa 600.000 i migranti arrivati sul suolo americano, uomini ma soprattutto mogli e figli di emigranti già stabili.
Il crack del 1929 e la conseguente depressione economica bloccano gli arrivi e sollecitano i ritorni in patria. Nel 1930 sono ancora 1,8 milioni gli italiani, ma nel decennio successivo crolla il sogno italo americano. Alla fine della crisi per coloro che sono rimasti ed hanno sofferto la congiuntura si denota una stabilizzazione lavorativa ed un miglio-ramento da un punto di vista sociale.
Dal 1940 arriva a maturità la seconda generazione degli emigranti al cui interno coesistono, e quindi si contrappongono, due mondi con scelte antitetiche: il rapporto con la famiglia che li mantiene legati alla tradizione (ma che quasi sempre è solo un idea) e quello con il mondo esterno, che li sollecita ad una modernità/civiltà allettante ma superficiale, senza grossi riferimenti ideali.
E’ una generazione marginale, in perenne conflitto e in crisi d’identità. Interessanti alcune figure che riescono ad emergere come lo scrittore di origine vastese Pietro Di Donato, il cantante e attore Frank Sinatra e lo sportivo Joe Di Maggio, tanto per fare degli esempi, oppure personaggi del mondo della politica, del sindacato e del crimine organizzato, che si incrementa a causa del proibizionismo.
Con la dichiarazione di guerra degli USA (1941) gli italiani diventano a tutti gli effetti nemici e sono circa 600.000 quelli non ancora naturalizzati. La naturalizzazione diviene il passaggio decisivo per accelerare il processo di americanizzazione: i compatrioti fanno la loro parte, comprano obbligazioni a sostegno dell’impegno bellico e mandano i loro figli a combattere per la patria. Nonostante ciò alcune migliaia di italiani sono internati, ma solo 210 sono costretti ad entrare nei campi di prigionia allestiti. Il servizio nelle forze armate per i giovani e l’utilizzo dei lavoratori maturi in sostituzione di quelli partiti per il fronte, permette a tanti di loro di uscire dalle Little Italy.

Little Italy negli anni 30. Mercato di frutta e verdura

Dopo il 1945, con la guerra terminata e la ricostruzione dell’Europa in atto, negli USA arrivano solo un milione di immigrati, perché i percorsi privilegiati sono quelli diretti verso il Nord Europa.
Nel 1990 gli Italo Americani sono conteggiati in circa 11 milioni, di cui solo il 10%, quasi tutti anziani, è nato in Italia. Quindi la condizione per la maggior parte di loro, quelli nati e vissuti negli USA, comporta un parziale recupero dell’identità, legata in particolare all’arte e alla gastronomia, e nel “crepuscolo dell’etnicità” essi rappresentano la classe media, sono variamente acculturati, svolgono incarichi impiegatizi e evidenziano un reddito medio. Insomma sono finalmente divenuti americani da tutti i punti di vista.

Hansrote – Una sciagura vastese

Il 26 maggio 1913 nei pressi di Hansrote, cittadina della Virginia dell’Ovest, un convoglio ferroviario investe un gruppo di operai al lavoro sulla strada ferrata. Vengono travolte e uccise undici persone; tra queste ben otto sono emigranti vastesi. Vogliamo ricordare questi otto lavoratori a oltre cento anni dalla loro morte:
Del Borrello Giuseppe (di Sebastiano e di Michela Napolitano) nato a Vasto il 17 novembre 1879 si sposa a Vasto il 5 dicembre del 1901 con Celenza Elisabetta di Antonio. Dal matrimonio nascono cinque figli di cui uno Sebastiano muore a 2 anni nel 1904. Giuseppe lascia a Vasto la vedova e quattro figli: Michele di 9 anni; Concetta di 5 anni; Anna di 3 anni e Sebastiano di uno.
La Verghetta Carmine (di Francesco e di Errica Suriani) nato a Vasto il 13 marzo del 1886 si sposa a Vasto il 22 ottobre 1910 con Teresa Raspa di Sebastiano. Carmine lascia a Vasto la vedova senza prole.
Di Spalatro Luigi (di Nicola e di Filomena Spadaccini) nato a Vasto il 21 maggio 1872 si sposa a Vasto il 5 dicembre del 1896 con Teresa del Bonifro di Ferdinando. Dalla loro unione nascono sei figli. Tra questi Maria Saveria morta nel 1901 e Sante morto nel 1904 tutti e due all’età di un anno. Luigi lascia a Vasto la vedova e 4 figli: Serafina di 16 anni; Paolo di 14; Nicola di 11 e Sante di 7.
Suriani Cesario (di Giuseppe e di Rosalia Roselli) nato a Vasto il 2 dicembre 1878 si sposa a Vasto il 7 novembre del 1908 con Teresa Roselli fu Cesario. Cesario lascia a Vasto la vedova ed il figlio Giuseppe di 2 anni.
Marchesani Pietro (di Antonio e di Maria Grazia Spinelli) nato a Vasto il 6 novembre 1866 si sposa a Vasto il 31 marzo 1889 con Rita Zappa-costa di Vincenzo. Pietro lascia a Vasto la moglie e cinque figli: Antonio di 23 anni, Vincenzo di 19, Incoronata di 16, Maria Michela di 14 e Giuseppe di 11.
Cicchini Vincenzo (di Francesco) nasce a Vasto nel 1878. Non risulta che abbia contratto matrimonio. Il 30 novembre 1896 chiede il rilascio del passaporto. Lascia a Vasto i genitori.
Cicchini Vincenzo (di Domenico e di Giovina Mattucci) nasce a Vasto il 20 giugno del 1882 e non risulta sposato. I contatti con la Compagnia ferroviaria per le indennità sono direttamente tenuti dal padre Domenico che è residente in America.
Cicchini Giuseppe (di Luigi e di Eugenia Stivaletta) nasce a Vasto il 22 gennaio del 1890 e non risulta aver contratto matrimonio. Beneficiaria dell’indennità è la sorella minorenne Annunziata assistita dal fratello Vincenzo e dal nonno Stivaletta Giuseppe fu Francesco.

Il ponte sul fiume Potomac vicino ad Hansrote

Cliccare per aprire documenti della tragedia

Canada

a cura di Paolo Calvano

L’inizio della storia degli italiani in Canada è databile alla seconda metà del sec. XIX. E’ del 1870 la prima associazione italiana. I pochi italiani arrivati si dedicano al piccolo commercio e ai mestieri itineranti. Nel periodo 1891-1908 sono solo 360 le entrate annue; nel 1913 risultano 27.700.
Gli immigrati preferiscono gli insediamenti urbani (Montreal e Toronto) e si strutturano in piccoli nuclei nei centri ferroviari e minerari dell’Ontario, della Columbia Britannica e della zona Atlantica. Rappre-sentano la manodopera per le costruzioni pubbliche, l’edilizia e il commercio al dettaglio. So-prattutto i lavori di costruzione delle ferrovie, gestiti da padroni italiani, utilizzano la manovalanza italiana proveniente dalla zona appenninica o dalle colonie americane già fiorenti (New York, Boston, Philadelphia, Chicago). Gli emigranti sono molto attivi nell’aderire ad associazioni di connazionali e fondano Società di mutuo soccorso. Nel trentennio questo associazionismo rappresenta un latente ap-poggio al fascismo, mentre si sviluppano la Società Italo Canadese di Toronto e l’Ordine dei Figli d’Italia.

Emigranti italiani a Toronto 1910 circa

Emigranti italiani in Canada, anni '20 del Novecento

Con l’entrata in guerra gli italiani diventano “nemici stranieri” e sono sottoposti ad un regime di controllo e di vigilanza. Vengono loro sospesi i diritti civili e alcune centinaia vengono internati.
Nel secondo dopoguerra con l’attuazione della politica della “sponsorizzazione”, gli italiani già residenti possono fare richiesta di far venire lavo-ratori a cui fanno da garanti. Da allora entrano in Canada 450.000 immigrati (fino al 1967 il 90% degli afflussi è legato alle sponsorizzazioni. In seguito inizia il periodo della selezione e quindi del reperimento di manodopera specializzata). La maggioranza sono addetti ai settori industriali e tra questi molti emergono nei sindacati. Infine negli anni ’70 cala l’afflusso e gli italiani rappresentano solo il 3% delle entrate.
La quasi totalità degli italiani è concentrata nelle città di Montreal e Toronto, e nelle zone dell’Ontario (64%) e del Quebec (23%). Si tratta principalmente, da un punto di vista lavorativo, di contadini, piccoli proprietari e artigiani. Un percorso comune a molti emigranti è quello per cui, iniziando da bassi livelli progrediscono divenendo imprenditori dell’edilizia, dei servizi e dell’alimentazione. Sociologicamente nell’insieme mostrano all’interno del multiculturalismo una identità etnica ben delineata e, nel co-siddetto “mosaico canadese”, hanno una propria valorizzazione e denotano una progressiva assimilazione..

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