Sud America

Argentina

a cura di Paolo Calvano

In 150 anni sono arrivati in Argentina 3 milioni e mezzo di italiani, che si sono dispersi in tutti gli ambienti e hanno attraversato tutti i ceti sociali. Se si pensa che in un territorio di più di 1,1 milioni di Km quadrati nel 1850 la popolazione era di 1 milione di abitanti si capisce quanto questo immenso stato avesse necessità di arruolare forza lavoro e di aprire nuove frontiere interne. Da allora tutti i cambia-menti occorsi nella società argentina in qualche modo sono ricollegabili alla presenza italiana.
Alla fine degli anni ’60 del sec. XIX gli italiani risultano concentrati soprattutto nelle grandi città: a Buenos Aires (60%) e a Rosario (3%). I primi ad arrivare nella zona orientale dello stato, occupan-dosi della navigazione nei fiumi e di tutte le attività connesse sono i marinai liguri che stabilitisi nella zona internazionale del Rio de la Plata, dell’Uruguay e del Paranà, non danno molto peso alle frontiere ufficiali degli stati. Gli arrivi, gestiti da compagnie di navigazione genovesi, portano gli immigrati a localizzarsi nel quartiere de La Boca (dove assom-mano al 10% dei residenti). I primi gruppi si riuniscono subito in associazioni e già dal 1873 nasce il “Circolo Italiano”, con la immediata contrap-posizione tra il blocco dei repubblicani e quello dei monarchici, che rappresentano due comunità di-stinte con due testate giornalistiche di riferimento.
Al 1880 gli italiani rappresentano il gruppo più consistente di immigrati (circa il 70%). Nel periodo 1881 – 1914 si registrano 2 milioni di arrivi (oltre il 47% del totale). I primi ad emigrare sono in genere giovani maschi di origine rurale che arrivano sfruttando i meccanismi “a catena”, a cui seguono a breve scadenza i familiari. In seguito molti lavora-tori specializzati contribuiscono all’allargamento delle frontiere, coltivando nuovi terreni, sostenendo lo sviluppo delle ferrovie, dei porti e dell’edilizia cittadina. La situazione al 1895 ci parla di una co-munità di mezzo milione di persone con un signi-ficativo impatto sull’economia Argentina. Tanto per dare dei numeri: gli italiani rappresentano il 35% dei proprietari di industrie e nella sola zona di Buenos Aires il 47% dei proprietari di case in affitto.

Veduta del porto di Buenos Aires 1900

Emigranti lasciano la zona del porto in tram. Buenos Aires 1912

Alle soglie della grande guerra si raggiunge il picco della presenza italiana (930.000 i residenti). Tra questi molti gli uomini con alta aspettativa di ritorno, localizzati per il 69% in aree urbane già da tempo prescelte: il 20% della popolazione di Buenos Aires, il 20% di quella di Rosario e il 17% di quella di La Plata. Italiani sono anche presenti in gran numero nelle zone rurali delle provincie di Cordoba e di Santa Fe, in genere, come affittuari di terreni e gestori di aziende agricole. Tra tutti i nostri immigrati ben 144.000 aderiscono alle 463 società mutualistiche esistenti, sparse per tutto il paese, che quindi rappresentano luoghi privilegiati di socialità.
Anche i giornali di lingua italiana (“La Patria degli Italiani” il più diffuso) hanno grande tiratura. L’integrazione con gli argentini non è particolarmente avanzata. Come è dimostrato da alcuni elementi che contraddistinguono le nostre comunità: endogamia elevata; uniforme distribuzione nel territorio legata anche all’anzianità di inserimento; apparte-nenza comune ad associazioni con i propri paesani. E’ una condizione di pluralismo poco conflittuale, favorito dalla notevole disponibilità di posti di lavoro e di spazi da occupare, anche se connotato da poche richieste della cittadinanza argentina.

Con la guerra il fenomeno immigrativo subisce una drastica riduzione e vede il ritorno in patria di tantissimi connazionali. Con le difficoltà economiche del 1918-9 e i conseguenti disordini vengono presi provvedimenti restrittivi per l’immigrazione, soprattutto severi controlli in entrata e l’obbligo di munirsi di un contratto di lavoro. Nonostante queste diffi-coltà è ancora discreto l’afflusso negli anni 1921-4. Dopo le leggi fasciste del 1927 e la crisi economica mondiale del 1930 gli esodi subiscono un crollo.
I primi decenni del secolo rappresentano il periodo dell’integrazione sociale che vede come ambiti privilegiati lo sport (i due club Boca Juniors e River Plate erano stati fondati da italiani), la musica popolare e la politica. Da un punto di vista sociale ambiti di ascesa sono rappresentati dalla Chiesa e dall’esercito. Diminuisce di molto l’importanza delle associazioni e dopo il 1938 si registra l’arrivo di esuli antifascisti o ebrei, che si integrano abbastanza nel mondo lavorativo ai vari livelli.
Nel secondo dopoguerra con l’avvento del Peroni-smo vengono lanciati i piani quinquennali che sollecitano il ritorno di emigranti, in collaborazione con lo stato Italiano e il Vaticano e con la preliminare formalizzazione di contratti di lavoro. Dopo un mas-siccio afflusso (1947-51) che vede spostarsi oltre 300.000 lavoratori, negli anni successivi il flusso diminuisce notevolmente fino a registrare nella se-conda parte degli anni ’50 un netto prevalere dei rientri sugli espatri.
Sono da segnalare, in questo ventennio di mobilità, e fino al ’60 molti ricongiungimenti familiari, il proliferare di nuove associazioni, la presenza stabile degli Scalabriniani per l’assistenza religiosa, l’arrivo di molti profughi compromessi con il regime fasci-sta, e la collaborazione tra industriali italiani già presenti in Argentina ed altri di nuovo impianto. Nell’insieme si può considerare come un periodo di variegata integrazione.

Brasile

a cura di Paolo Calvano

Anche lo stato Brasiliano, come altre nazioni con le dimensioni di un continente, ha sempre avuto l’esigenza di incrementare la propria popolazione per coprire un territorio sterminato con una bassissima densità demografica. La stima del movimento migratorio dall’Italia verso questo lembo dell’America meridionale ci parla di uno spostamento nell’arco di un secolo di circa un milione e mezzo di migranti. La parte del leone è rappresentata dal periodo di fine secolo (1887-1902) con oltre 900.000 spostamenti, con una percentuale di circa il 60% rispetto al totale degli arrivi stranieri.
Il fattore scatenante di questo esodo di massa è diretta conseguenza dell’emigrazione assistita, in quanto alcuni degli stati della federazione brasiliana coprono i costi della traversata. Una parte degli emigranti si indirizza verso le zone di coltivazione del caffè, attirata dalla promessa di poter ottenere della terra da coltivare. Questo flusso viene chia-mato delle colonizzazioni agricole ed è caratteriz-zato dallo spostamento di interi nuclei familiari che pensano di trasferirsi stabilmente nelle colonie e che originano la nascita di piccole e medie imprese agricole familiari a cui viene affidata una casa e dei lotti di terreno di alcune decine di ettari.

Emigranti impegnati nella raccolta del caffé 1900 circa

Emigranti italiani a Caxias do Sul 1918

Un secondo gruppo invece si trasferisce nelle facendas dove gli italiani vengono utilizzati come manodopera schiavizzata (il 1888 è l’anno dell’abolizione ufficiale della schiavitù), isolata dal resto del paese, mal pagata. Innumerevoli gli episodi di violenza, segregazione, limitazione delle libertà personali da parte del fazendeiro che culminano in un fallimento completo dell’esperimento per le ripetute denunce dei consolati italiani e con la fuga verso le città vicine o con il ritorno in Italia. In questo periodo la nostra regione partecipa in modo massiccio all’esodo (oltre il 7 % dei migranti sono abruzzesi). Sin dagli inizi gli italiani che si indirizzano nei grandi centri si specializzano in lavori specifici (muratori e capimastri, commercianti ambulanti e al minuto, gestori di piccole attività di ristorazione, artigiani) dando un’immagine, un’impronta italiana alle città brasiliane. A San Paolo (dove rappresentano quasi un terzo della popolazione) diversi quartieri presentano caratteristiche non genericamente italiane ma regionali. Gli insediamenti sono strutturati in casermoni che racchiudono minuscoli appartamenti in cui abitano 8-10 persone. In seguito i più fortunati riescono a costruirsi delle casette indipendenti.
Dal 1902 diminuisce di molto l’apporto in Brasile dei nostri connazionali per la crisi del mercato del caffè
e per l’intervento deciso del governo Italiano che, visti i catastrofici precedenti, proibisce i viaggi sussidiati. Fino alla fine della Grande Guerra sono poco più di 300.000 gli italiani trasferiti. Se la meta preferita è la città di San Paolo e i suoi dintorni, notevole è la diffusione degli italiani negli stati del Sud del paese (Minas Gerais, Rio de Janeiro, Rio Grande do Sul, Espirito Santo).
Durante il ventennio fascista gli arrivi calano a 88.000 soprattutto per la crisi economica e per la sovrapproduzione di caffè che ne blocca l’esportazione all’estero.
Alcuni emigrati riescono a fare fortuna, nel campo dell’imprenditoria edilizia e finanziaria, propagandando il mito del self made man. Importanti da un punto di vista culturale le pubblicazioni periodiche in lingua italiana sviluppate soprattutto nello stato di San Paolo. Nelle centinaia di associazioni fondate dai nostri connazionale ci si ritrova per riprodurre un pezzo d’Italia nelle tradizioni, nelle manifestazioni religiose, nello sport, e impegnandosi nella beneficenza e nel mutuo soccorso. Sparse in tutto il territorio sono presenti anche filodrammatiche, bande e scuole di lingua italiana. Con lo scoppio delle ostilità quasi tutte queste strutture subiscono un blocco da parte del governo brasiliano che le individua come propaganda dello stato italiano con cui è in conflitto. Iniziano anni pesanti per i nostri connazionali che subiscono anche grosse limitazioni alla loro libertà personale, lavorativa e associativa.
Alla fine della seconda guerra mondiale il Brasile tenta nuovamente di attirare le masse dei nostri contadini proponendo il pagamento del viaggio di andata e favorendo l’istituzione di cooperative agricole (particolarmente significativo è l’apporto di gruppi di abruzzesi in questa nuova colonizzazione agricola) in diversi degli stati della federazione. In questo progetto di coinvolgimento vengono attirati anche tecnici e artigiani. Il tentativo si conclude in tempi brevi con un insuccesso che costringe la maggior parte degli emigranti a rifugiarsi nelle città della costa o direttamente al ritorno definitivo in patria. Dopo il ’60 si registrano poche centinaia di spostamenti che mettono la parola fine a questo esodo epocale.

Notes

Documents