Particolarmente significativo il quadriennio 1922-5 in cui il numero degli arrivi è stimato in circa 15.000. Da allora, alla resistenza del regime fascista che cerca di impedire il flusso migratorio, si aggiunge la grande recessione del 1929 e la federazione austra-liana è costretta a limitare un afflusso così massiccio della forza lavoro italiana. Alle restrizioni legislative si aggiungono anche cruenti episodi di razzismo e di scontri sociali, legati anche alla mancanza di lavoro, in cui vengono coinvolti nostri connazionali.
In ogni caso, la situazione del 1933, in un momento di relativa stasi, certifica che la comunità italiana è divenuta la più numerosa tra quelle di lingua non inglese con oltre 26.000 individui (ben 20.000 quelli di sesso maschile) e negli anni successivi con gli arrivi di mogli e figli che si ricongiungono in famiglia molte situazioni sono stabilizzate. Il periodo che segue lo scoppio della seconda guerra mondiale è per i nostri emigranti il più duro in assoluto in quanto sono trattati da nemici dello Stato, essendo originari di un paese impegnato nel conflitto. Dopo essere stati privati del lavoro, allontanati dai luoghi di residenza e dalle loro famiglie, vengono utilizzati in aziende agricole lontane dalla costa o trasferiti in campi di internamento dove si incontrano con gli italiani prigionieri, catturati in guerra e qui deportati (complessivamente i connazionali qui dislocati pare siano stati 18.000). L’unico aspetto positivo di questa deportazione, sembra essere stato il cambio di mentalità introdotto nell’opinione pubblica australiana, che da questi anni comincia a percepire l’italiano come un soggetto lavoratore e responsabile.
Lo sviluppo del dopoguerra porta nella società australiana la necessità di manodopera e costringe a progettare un incremento della popolazione per favorire il decollo di uno stato economicamente e strategicamente essenziale nel panorama mon-diale. Nel 1951 gli accordi bilaterali permettono ai familiari in Italia di ricongiungersi con i lavoratori italiani rimasti nel continente anche durante il conflitto e predispongono le “chiamate garantite”, spesso con la copertura dei parenti già stabilizzati. Inizia quello che per quasi 20 anni si connota come esodo di massa con caratteristiche di trasferimento definitivo. Alcuni studiosi stimano che il gruppo etnico italiano dopo i massicci afflussi di quegli anni (comprendente la prima e la seconda generazione) raggiunga la cifra record di 500.000 unità.